Bentornati alla prima rubrica (spero di avere il primato…) ambientata sotto l’ombra dei ciliegi! Oggi parleremo di un argomento storicamente molto importante riguardo la giovane ribellione studentesca e la sua correlazione al mondo kawaii. いきましょう!
UNA VERA E PROPRIA FILOSOFIA DI VITA?
Iniziamo chiedendoci: cosa è esattamente kawaii?
Questo simpatico aggettivo, che significa “carino”, deriva dalla frase usata in periodo Heian (794-1185) kao hayushi 顔映し (lett. “viso raggiante”, usato per descrivere le gote leggermente arrossite di qualcuno).
La parola, seguendo le regole di pronuncia moderne, si scrive principalmente in hiragana come かわいい, anche se non è raro l’uso del suo ateji 当て字 (“caratteri assegnati” ad una parola che non ha scrittura in kanji), 可愛い (che significa letteralmente “capace di amare/essere amato”). La pronuncia del termine nel tempo si è consolidata in kawayui かわゆい, e poi nella forma moderna che tutti conosciamo.
È interessante notare che in alcuni esempi di periodo Taishō, come i dizionari stampati al tempo, in base alle norme di trascrittura delle pronunce vigenti al tempo si trovi in uso kawayushi.
Ma il mondo del kawaii è più di una parola, o di un’etimologia le cui radici affondano nella culla della cultura Yamato: il termine kawaii è stato recentemente associato al fenomeno Cool Japan クールジャパン, terminologia usata per fare accenno al recente aumento in popolarità del Giappone dal secondo dopoguerra ad oggi, diventando un’effettiva superpotenza nel giro di poco meno di metà secolo.
Molti giornali occidentali hanno parlato, e stanno tutt’ora parlando, della “filosofia kawaii”, dipingendola come se fosse qualcosa che permea la vita di chiunque decida di abbracciarla.
Ma è davvero così? Al momento attuale delle cose, sì. Il Giappone è un paese molto attento ai dettagli, ed è naturale che gli oggetti ben curati attraggano più attenzione rispetto ad altri; soprattutto tra i giovani, individui dinamici che amano tutto ciò che è frizzante e oshare おしゃれ (“alla moda”). Il fenomeno, nello specifico nella sua iterazione contemporanea, è collegato a tutto ciò che è piccolo e innocentemente grazioso, e ai sentimenti che il circondarsi di questi ninnoli colorati ci fa provare.
Nonostante la sua natura apparentemente vacua e priva di funzionalità pratiche, se non puro piacere derivante dal circondarsi di morbide mascots, il fenomeno kawaii nasce da un terreno già fertile come una silenziosa rivoluzione giovanile a tutto ciò che è vecchio e rigido nella mentalità giapponese del secolo scorso.
STORIE DI BELLEZZA E DI RIBELLIONE
La cultura giapponese ha un’ossessione intrinseca per il “bello”: si pensi alla cura delle stampe del periodo Edo (1603-1867), e alle figure delle bijin 美人 (lett. “belle persone”), personaggi spesso femminili di stampe la cui protagonista era la loro bella apparenza.
Ed è nell’ambiente dell’arte e della bellezza che iniziò a cimentarsi Takehisa Yumeji 竹久夢二, giovane poeta del periodo Taishō (1912-1926) divenuto però popolare per le sue stampe con protagoniste bijin. Lo stile pone grande enfasi sugli occhi, particolarmente rotondi rispetto a quelli disegnati dai suoi colleghi, e sulla sinuosità dell’esile corpo femminile. Lo stile, che sembra voler avvicinare ad un tratto occidentale lo stile tradizionale, conquista il pubblico, tanto da far valere a Takehisa l’onore di essere considerato il primo artista “kawaii” della storia, oltre ad influenzare pesantemente il tratto del futuro manga shōjo.
Facendo però un passo avanti nella storia del Giappone, giungiamo al 1968, anno in cui le rivolte giovanili stanno scuotendo le istituzioni di tutto il mondo. Anche in Giappone, la situazione non è da meno. A parte alcuni casi registrati di manifestazioni sfociate nella violenza, per la maggior parte la ribellione si svolge in modo silenzioso: gli studenti decidono di fare la linguaccia alle autorità, iniziando a marinare le lezioni per distrarsi, spesso leggendo manga.
Intorno alla metà degli anni ’70, alcune ragazze decidono però di rompere in modo più visibile le regole, partendo dalla scrittura: si inizia a scrivere usufruendo del sistema occidentale (da sinistra a destra in orizzontale, al contrario del sistema tradizionale che prevede da destra a sinistra seguendo una linea verticale dall’alto verso il basso) con una calligrafia volutamente larga e “carina”.
Quello sopra è un esempio molto chiaro della calligrafia tipica del tempo, che riporta un simpatico invito:
“A Nana-chan.
Martedì andiamo a giocare ♡
? Da Paguko”
Questa scrittura arrotondata ha causato un certo tumulto soprattutto nelle scuole superiori, in cui un gran numero di studentesse aveva deciso di adottarla. Spesso le giovani studentesse incappavano in sanzioni o rimproveri da parte dei professori, ed in alcuni casi, le scuole potevano anche decidere di bandire questa calligrafia; sia per problemi di incomprensibilità e spaziatura, sia perché il corpo insegnanti era unanime sul pensiero che questa “irriverenza” fosse inaccettabile da parte dei giovani studenti.
Per la prima volta, anche i comuni studenti delle superiori si sentirono in potere di remare contro le convenzioni sociali, ed è grazie alla forte spinta femminile che il fenomeno del “vacuo” e del “carino” si insinua nella coscienza popolare giapponese.
To be continued! Rimanete sintonizzati per la seguito (spirituale) di questo articolo, che arriverà con la prossima riunione sotto i ciliegi! Con questa promessa, per ora passo e chiudo!
じゃあね! Alla prossima!
– Mari ?
Fonti web:
https://web.archive.org/web/20140709040832/http://gogen-allguide.com/ka/kawaii.html
https://japanesekawaiiculture.com/takehisa-yumeji-taisho-romanticism-and-the-roots-of-kawaii/
Fonti immagini:
https://www.flickr.com/photos/kemptons_photos/233924273
https://lh3.googleusercontent.com/proxy/QZEuzkaZTxfO7O27CoKUqnB-femzcwzgMikaQIJ5AWA9GVuf33n5RE-pH5tD4BQx4InWRVbPvm45-wGY1y3THn0RzNlSqvNkQwpG
https://lh3.googleusercontent.com/proxy/cj991w49TNixfScxioVF5LPZK_q1GtrnVZ0DfrbVQgAxm0LWhhAOnoBVcpns9e3XAtRzCbeEnQ3t0_jseBj_sL3cZdfEZUTqJJph